Il bandito Cavallero: Storia di un criminale che voleva fare la rivoluzione by Giorgio Bocca

Il bandito Cavallero: Storia di un criminale che voleva fare la rivoluzione by Giorgio Bocca

autore:Giorgio Bocca [Bocca, Giorgio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: History, Modern, 20th Century, Europe, Italy, Literary Collections, Essays
ISBN: 9788858824092
Google: GV9jCwAAQBAJ
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2016-01-27T23:00:00+00:00


6.

La grande caccia

Prendono un tram, poi un altro. “Questo deve essere il buono,” assicura Piero, e arrivano alla stazione di porta Genova: fra tre minuti un treno parte per Mortara, i biglietti, di corsa, ecco uno scompartimento vuoto. “Ricarica le armi,” dice Piero, “io sto di guardia.” Si mette sulla porta mentre Sante Notarnicola infila le pallottole nei caricatori e poi mette quelli che avanzano nella borsa di vinilpelle. Si passano le pistole cariche. “Credi che sia morto, l’Adriano?” “E che ne so. Cadere, l’ho visto cadere. Se è vivo, a quest’ora ha parlato.” “A grana come stai?” “Io ne ho quarantamila, e tu?” “Devo arrivare a trentamila. Tu dici che ha parlato?” “Non agitarti,” dice Piero, “domani lo sappiamo.”

Il treno per Mortara fa la sua brava corsa serale, tu tun tu tun tu tun tu tun, riporta a casa i pendolari e i loro sonni in arretrato. Sante sta vicino al finestrino, guarda nel buio, gli sembra di avere la febbre. Scendono per ultimi, sul pavimento del corridoio c’è un giornale della sera, Sante fa il gesto per raccoglierlo ma Piero lo ferma: “Stai buono, ho guardato io all’edicola della stazione, la notizia non c’è ancora, abbiamo qualche ora sicura”.

Duccio Lopez è già arrivato a Torino con il pullman delle 19, e mezz’ora dopo è a casa in corso Taranto 70, nella barriera di Milano come gli altri. È stanco, sconvolto; prima di salire ha cercato di coprire con i capelli il rosa dei cerotti che gli hanno messo in testa, nella farmacia di Milano, ma figurati se la mamma non se ne accorge subito: “Cosa è successo Donato?”. “Ma niente, abbiamo bocciato.” “Chi, avete?” “Ero con un amico che ha una 1100, roba da niente.” “Ma che amico, Donato?” “Mamma, lascia stare, sta arrivando papà.”

Gabriele Lopez arriva come tutte le sante sere dalla fonderia, con quella sua aria né triste né lieta. Cinquant’anni e sei figli, sveglia alle sei del mattino, un po’ di bologna e di pecorino nella borsa, la minestra la passa l’azienda, cinque Aurora durante il giorno e due per la sera. Con Teresa non si fanno mai questioni di soldi: la regola della barriera operaia è semplice, la moglie prende la busta paga, ti dà quello che basta per le sigarette e un caffè, e al resto pensa lei. E adesso anche i figli qualcosa portano in casa, i figli maggiori Vito e Dino, sempre taciturni, il Donato che non sa stare in casa una sera con la scusa del circolo Tabor, Michele, quattordici anni, già in fabbrica (sì, la legge va bene per quelli che hanno i soldi, ma qui se non si lavora cosa si mangia?), e poi l’Angela, dodici anni, ancora otto prima di sposarsi come la maggiore. Immigrati? Una volta. Adesso diciamo pure integrati. I figli maggiori lavorano e tacciono, il Michele, da quando la ragazza l’ha piantato perché è “un terra da pipe”, parla piemontese anche in casa. Duccio sembra nato qui, l’Angela dice per scherzo al padre: “Ehi ti, terun”.



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